L’inerzia della titolare del marchio registrato non può essere invocata a titolo di decadenza, al fine di ottenere la dichiarazione di convalidazione del marchio di fatto posteriore, dal momento che la rispettiva titolare non ha mai registrato il proprio marchio. In proposito, sembra infatti insuperabile il dato normativo ricavabile dal disposto dell’art. 28 c.p.i. Anche alla mera tolleranza da parte del preadottante dell’uso del proprio marchio da parte del post-adottante non può essere attribuito il significato di rinuncia al diritto sul segno, dal momento che, al di fuori dell’ipotesi della convalida, a tale atteggiamento non può esser ricondotto alcun effetto di rinuncia da parte del titolare o di acquisito di un diritto su di esso da parte di terzi.
Come noto, ai sensi dell’art. 28 CPI “il titolare di un marchio d’impresa anteriore ai sensi dell’art. 12 e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all’uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui marchio posteriore sia stato domandato in malafede”.
La ratio della convalidazione è quella, da un lato, di eliminare situazioni di incertezza, conferendo a situazioni che sono venute consolidandosi di fatto sul mercato anche una situazione di diritto; e, dall’altro lato, quella di proteggere la posizione di coloro che abbiano conferito un certo accreditamento ed una realtà economica protrattasi nel tempo, evitando che questi soggetti vengano privati dei valori che hanno contribuito a costruire o a rilanciare. Dal punto di vista prettamente storico, l’istituto di cui si discute è stato per la prima volta menzionato nel regio decreto 13 settembre 1934, n. 1602 (recante Privative industriali e marchi di fabbrica e di commercio), il cui art. 99 disponeva che “La validità del marchio pubblicamente usato per cinque anni senza contestazioni, dopo la pubblicazione di cui all’art. 90, ultimo comma, di questo decreto, non può essere impugnata per il motivo che il segno che lo costituisce può confondersi con un segno altrui, già conosciuto alla data della domanda, come distintivo di pro- dotti o merci dello stesso genere, o perché esso con- tiene un nome o ritratto di persona”.
Questa norma tuttavia non mai entrata in vigore, ma venne sostanzialmente riprodotta dall’art. 48 del r.d. 21 giugno 1942 n. 929 avente il seguente tenore: “La validità del brevetto, quando il marchio sia stato pubblicamente usato in buona fede per cinque anni senza contestazioni, dopo la pubblicazione di cui all’art. 35, primo comma, di questo decreto, non può essere impugnata per il motivo che la parola, figura o segno che lo costituisce può confondersi con una parola, figura o segno altrui, già conosciuto alla data della domanda, come distintivo di prodotti o merci dello stesso genere, o perché esso contiene un nome o ritratto di persona”.
La convalidazione è stata quindi prevista anche all’art. 9 della direttiva n. 89/104/CEE 21 dicembre 1988 del Consiglio, rubricato “Preclusione per tolleranza”, in attuazione del quale l’art. 45 d.lgs. 480 del 1992 ha modificato il testo dell’art. 48 disponendo: “Il titolare di un marchio d’impresa anteriore ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettere d) ed e), e il titolare di un diritto di preuso che importi notorietà non puramente locale, i quali abbiano, durante cinque anni consecutivi, tollerato, essendone a conoscenza, l’uso di un marchio posteriore registrato uguale o simile, non possono domandare la dichiarazione di nullità del marchio posteriore né opporsi all’uso dello stesso per i prodotti o servizi in relazione ai quali il detto marchio è stato usato sulla base del proprio marchio anteriore o del proprio preuso, salvo il caso in cui il marchio posteriore sia stato domandato in malafede. Il titolare del marchio posteriore non può opporsi all’uso di quello anteriore o alla continuazione del preuso”.
Disposizioni analoghe, ma destinate a disciplinare i marchi comunitari sono state emanate dall’art. 53 Regolamento CE del Consiglio n. 40/1994 del 20 dicembre 1993. Le stesse sono state quindi nuovamente modificate dall’art. 5 d.lgs. 198 del 1996 che ha esteso l’istituto della convalidazione alle ipotesi in cui il marchio posteriore fosse identico o simile ad un marchio che avesse goduto di rinomanza nelle Comunità economica europea ovvero fosse notoriamente conosciuto ai sensi dell’art. 6 bis della Convenzione di Unione di Parigi e da ultimo trasfuse con modifiche marginali nell’art. 28 d.lgs. 30 del 2005, che ha abrogato (art. 246) l’art. 48.
Questo excursus legislativo rende palese che a partire dalle modifiche apportate a quest’ultima norma dal d.lg. 480 del 1992 per l’espresso riferimento della stessa ad entrambe le fattispecie, nessun ragionevole dubbio può residuare sull’applicazione della convalidazione all’ipotesi di segno usato di fatto con portata generale da un primo utente, seguito da segno registrato da un altro. La sentenza oggetto di tale commento ha invece preso in considerazione il caso esattamente opposto, la quale non ha ritenuto opportuno applicare, per via analogica, l’istituto della convalidazione, facendo prevalere ragioni di certezza dei rapporti giuridici.
A parere di chi scrive, tuttavia, alla base dell’istituto della convalidazione si rinvengono, da un lato, principi comuni all’intero ordinamento e non solo all’ambito settoriale dei marchi registrati: si rinvengono, dall’altro, principi di tutela della ricchezza prodotta dagli investimenti e di avversione verso le iniziative parassitarie che sono tipici della concorrenza sleale. Per queste ragioni si ritiene possibile – se non una applicazione analogica dell’istituto della convalidazione ai marchi non registrati – quantomeno individuare un limite alla tutelabilità del marchio rispetto a segni uguali o simili utilizzati per lungo tempo nella consapevolezza e senza l’opposizione del titolare del marchio. Tale ultima osservazione è stata del resto recepita dal Tribunale di Torino, Sentenza n. 2256/2016 del 18 aprile 2016, il quale pertanto ha accolto una interpretazione più ampia e pro-concorrenziale.